Esistono diverse categorie di videogiochi che differenziano i titoli non per genere ma per come sono prodotti
Negli ultimi anni il mercato dei videogiochi si è diviso in due parti. Da un lato i cosiddetti videogiochi AAA (tripla A), con un grande budget e team di centinaia di sviluppatori alle spalle. Dall’altra gli indie, creati da poche decine di persone con pochi fondi. All’apparenza non dovrebbe esserci competizione tra queste due categorie, eppure entrambe riescono a ricavarsi la propria porzione di mercato.
I videogiochi indie sono diventati molto popolari negli ultimi anni. La disponibilità di software per la programmazione e piattaforme di distribuzione digitale ha permesso a piccoli sviluppatori di creare titoli di enorme successo. Il termine indie è un’abbreviazione dell’inglese indipendent, che sta appunto per indipendenti. Il riferimento è simile a quello che si fa per le produzioni cinematografiche o musicali che non hanno alle spalle investitori con grandi capitali.
Dal punto di vista della produzione, gli indie hanno alcune caratteristiche distintive. Ci lavorano tra le 4 e le 10 persone, spesso meno. In alcuni casi questi videogiochi sono l’opera di un solo sviluppatore. Il budget è molto ridotto, spesso si tratta di autofinanziamento. Raramente si supera il milione di euro e si tratta di soldi provenienti direttamente dai risparmi degli sviluppatori stessi.
Da queste ristrettezze derivano alcune caratteristiche evidenti a chi gioca. Gli indie hanno spesso una grafica meno dettagliata degli AAA. Sono a volte 2D o 2.5D e possono utilizzare stili a 8 o 16 bit, per sopperire alla mancanza di un comparto artistico di alto livello e dell’hardware necessario per le grafiche 3D.
Per questa ragione, spesso questi titoli si concentrano su altri aspetti. Alcuni sviluppano una particolare attenzione al gameplay. Questi indie fanno della loro difficoltà la parte più attraente per i giocatori, che li distingue dai AAA rivolti a un pubblico più ampio e quindi più accessibili. È il caso ad esempio di The Binding of Isaac. In altri casi è la parte narrativa ad essere più sviluppata, con storie intricate o particolarmente coinvolgenti e mondi pieni di dettagli che sopperiscono a gameplay e parte visuale relativamente meno sviluppate. È questo il caso di titoli come Undertale o To The Moon.
Queste caratteristiche hanno reso l’indie quasi un genere sopra i generi di videogiochi. Anche titoli molto diversi per gameplay, target di riferimento e origine, si ritrovano in questa definizione. Molti giocatori apprezzano la fattura “artigianale” di questi videogiochi a prescindere dal fatto che siano giochi di ruolo o di avventura, narrativi o concentrati sulla difficoltà.
È complicato capire quanto sia effettivamente grande il mercato dei videogiochi indie. Dato che spesso gli sviluppatori sono poche persone o addirittura un singolo, non ci sono aziende a cui fare riferimento, con bilanci pubblici e resoconti trimestrali. I dati dell’agenzia di ricerca di mercato Newzoo stimano che nel 2020 il giro d’affari si aggirasse attorno ai 2 miliardi di dollari a livello globale. Da allora gli indie non hanno più smesso di crescere e nel 2023 hanno toccato i 2,45 miliardi di dollari nel 2023.
Si tratta ancora di una parte molto piccola del mercato videoludico. A livello mondiale, tra software e hardware, l’intera industria varrà 365 miliardi, con 47 miliardi di fatturato. La grande differenza però sta nella crescita. Dopo la pandemia, le grandi case videoludiche hanno vissuto la prima fase di riduzione dei profitti dagli anni ’80. Una conseguenza di una domanda che si è saturata durante il lockdown e che ha bisogno di tempo per riprendersi. Gli indie invece non hanno subito queste conseguenze.
Esiste però anche un lato più oscuro dell’industria dei videogiochi indie. I titoli che riescono a raggiungere vendite significative sono poco più di uno ogni 10. Per ogni titolo di relativo successo, con oltre 200mila copie vendute su Steam, altri 9 circa non hanno mai nemmeno sognato di raggiungere queste cifre.
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